L’arte dell’Oceania è stata il punto di partenza. Un libro sulla Nuova Guinea e sui vari arcipelaghi del continente me l’ha fatta riscoprire, rivalutare. Ne avevo l’immagine di un’arte raffinata ma troppo decorativa, affatto essenziale. Tutto il contrario dell’arte africana che ho sempre amato: energica ed efficace; limpida e diretta nella sua espressione.
Il collegamento fra la tradizione oceanica e i miei quadri è nato in modo casuale. I manichini esposti nelle vetrine delle nostre città sono di recente stati i protagonisti delle mie sperimentazioni pittoriche. Elaborandone alcune foto, ho scoperto che essi nascondevano strutture antropomorfe simili alle figure dipinte e scolpite che avevo apprezzato in quel libro.
Così ho cominciato a immaginare una metamorfosi: il ritorno degli individui metropolitani al primitivismo. La superficiale abitudine del “maquillage” torna ad essere il sacrale rito della pittura del corpo per farne un’opera d’arte. E gli usuali canoni di bellezza vengono sostituiti dai motivi decorativi tipici dei tatuaggi arcaici, a sottolineare la struttura del corpo, degli organi interni, delle parti del volto, in una insolita e vigorosa metamorfosi seduttiva.
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